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Sisma 24 agosto: quando il dilemma è tra famiglia e professione

9/7/2016

Testimonianze dal luogo del sisma: due farmaciste di Amatrice

Mettiamo che un terremoto ti porta via tutto. Sei donna e madre, sei riuscita a salvarti con i tuoi figli, ma sei anche farmacista, e nel caos della distruzione avverti un conflitto tra il dovere di accudire i tuoi cari e il richiamo all’etica professionale, ossia aiutare il prossimo. Che cosa scegli? Forse alla fine non scegli, forse ti limiti a fare quello che già fai tutti i giorni, ossia dividerti tra l’essere mamma e farmacista, perché in fondo a entrambi c’è la stessa vocazione. Lo testimonia la doppia storia di Maria Teresa Cicconetti e Maria Rita Cortegiani, contitolari della seconda farmacia di Amatrice, il comune del reatino più devastato (con Accumoli e Arquata del Tronto) dal sisma del 24 maggio. Sposate con figli tutt’e due, nel dopo-terremoto si sono prese cura dei loro cari senza però tirarsi indietro. E ora attendono con impazienza la seconda farmacia-container (in arrivo la prossima settimana da Farmacentro) per ricominciare a lavorare.
Iniziamo da quella brutta notte: come avete fatto a mettervi in salvo, voi e le vostre famiglie?
Cortegiani. Fortunatamente la nostra casa ha tenuto, quindi alle prime scosse io e mio marito ci siamo rifugiati in macchina con i nostri bambini di uno e nove anni. Siamo rimasti lì tutta la notte, poi solo l’indomani ci siamo resi conto del disastro: la nostra abitazione, una villetta a schiera, è distante dal centro del paese e i cellulari non prendevano.
Cicconetti. Ai primi sussulti mi sono buttata sotto il letto, mio marito invece non è riuscito a fare un movimento dallo shock. Poi ci siamo buttati subito in strada e ci siamo diretti verso il palazzetto dello sport. Ho avuto giusto il tempo di afferrare una giacca e la borsa, dove tenevo il cellulare. I miei figli sono entrambi sopra i vent’anni, erano fuori casa al momento del terremoto e ci hanno raggiunti più avanti.
Adesso dove siete sistemate?
Cortegiani. Ho portato la famiglia da mia sorella, al mare, e vado avanti indietro da Amatrice. La casa è rimasta in piedi ma non è agibile.
Cicconetti. Siamo alloggiati in una tenda assieme ad altri abitanti del paese. La mia casa più o meno ha tenuto, i piani superiori si sono accartocciati ma io stavo al primo. Però non è più abitabile e ancora non sono riuscita a recuperare niente di quanto avevo lasciato, i Vigili del fuoco non lasciano entrare.
Come avete trascorso i giorni successivi al terremoto? Come avete conciliato famiglia e servizio?
Cortegiani. Avendo due bimbi piccoli, fortemente traumatizzati dall’esperienza vissuta, sono stata costretta a dare la precedenza a loro. Ho chiesto in giro, tutti mi hanno detto di dare la precedenza ai miei bambini. Anche se ho dovuto fare i conti con non pochi conflitti interiori, perché sentivo il richiamo del dovere professionale, l’impegno che deriva dall’essere al servizio degli altri. Una spinta acuita dalle tante telefonate ricevute nei giorni successivi al sisma da conoscenti e clienti della farmacia, tutti felici di sapere che stavo bene. Aspetto soltanto di ricominciare a lavorare per rimettermi a disposizione della mia comunità.
Cicconetti. La mattina dopo, mentre ero davanti al palazzetto, ho visto arrivare i primi scampati e feriti. Mi sono fatta avanti e ho prestato qualche aiuto. Più tardi hanno portato mio padre, è invalido e l’avevano prelevato da casa sua in ambulanza. Mi avevano già informata che era sano e salvo, da quel momento però ho dovuto prendermi cura di lui.
Come vi sentite, resterete qui o è più forte la voglia di andarsene?
Cortegiani. Io sono nata ad Amatrice e nel sisma ho perso amici e conoscenti. Forse me ne sarei già andata, se non fosse per le tante persone che, come ho detto, nei giorni successivi mi hanno fatto arrivare parole di conforto. E’ questo calore che ti dà la forza di andare avanti, di dare una mano a tutte le persone che sono rimaste. Voglio ricominciare a lavorare soprattutto per loro.
Cicconetti. Ho 60 anni e sono titolare da trenta. Potrei anche dirmi che va bene così, che non ho più l’età per rimboccarmi le maniche e ricominciare un’altra volta, ma lasciare così sarebbe una sconfitta. No, voglio provarci, anche se so già che, comunque, niente qua attorno ritornerà a essere come prima. (AS)

Fonte: www.federfarma.it


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